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Musical, Recensioni, Teatro, Teatro

Lady Oscar- François Versailles Rock Drama

lady oscar

Nuovo Teatro Orione

29 dicembre 2017. Prima

Andrea Palotto, autore e regista intelligente, colto e originale, riporta in scena Lady Oscar- François Versailles Rock Drama, musical di cui è autore, sia delle musiche che dei testi, e regista, e che debuttò nel 2009 con grandissimo successo.

La storia è quella del manga originale di Riyoko Ikeda, da cui fu tratto il celeberrimo cartone animato che ha entusiasmato generazioni di giovani, ma arrangiata e adattata.

Siamo in Francia, a Parigi, nella seconda metà del ‘700. Oscar François de Jarjayes è la figlia dell’autoritario generale Augustin de Jarjayes fedele servitore della Corona. A dispetto delle grandi aspettative del padre, che aspirava ad avere un erede maschio che potesse succedergli al comando, François nasce donna, rimanendo subito orfana della madre. Verrà cresciuta come un uomo e destinata comunque alla carriera militare. Cresciuta nel clima militaresco impostogli dal padre, François diventerà Comandante delle Guardie del Re con l’incarico di proteggere la famiglia reale. Al suo fianco François avrà sempre il fedele amico André, figlio del popolo cresciuto alle dipendenze del generale de Jarjayes insieme alla nonna Marie. Tra il popolo intanto serpeggia il malcontento e si prepara una delle rivoluzioni più clamorose, sanguinose ed emblematiche della storia, la rivoluzione francese del 1789. I nobili conducono la propria esistenza nel fasto e nella ricchezza della corte, mentre il popolo soffre sempre di più la povertà e la fame. Maximilien de Robespierre, avvocato e politico del tempo, si muove tra il popolo per incitarlo ad una presa di coscienza che si esprima nell’azione diretta che sfocerà nella rivoluzione. Mentre la vita a corte procede tra feste e le leggerezze dei nuovi giovani regnanti, François acquisterà consapevolezza della reale situazione del popolo e deciderà di schierarsi in sua difesa, andando contro il suo stesso padre.

Lady Oscar- François Versailles Rock Drama è una delle prime opere di Andrea Palotto, preceduto nel 2006 da François – The Musical, e contiene in sé alcuni di quegli elementi che caratterizzeranno la sua produzione successiva: intelligenza, gusto, perspicacia, ironia, capacità di rielaborare storie e concetti e restituirli con vividezza al pubblico, ponendo sempre l’accento sulla psicologia e il mondo emotivo dei personaggi.

Palotto, infatti, propone e rielabora la storia di Lady Oscar riuscendo a gettar luce allo stesso tempo sui fatti storici essenziali e sui caratteri specifici di ogni singolo personaggio.

Lo spettatore riesce ad avere ben chiara l’intera narrazione, ovviamente concentrata rispetto all’anime giapponese, a seguire i vari passaggi narrativi e la successione degli eventi storici principali.

Ritroviamo così rappresentata la profonda dicotomia tra la nobiltà e il popolo che si manifesta nelle trame di palazzo, nella disuguaglianza sociale, nell’indigenza estrema del popolo e nella voglia di riscatto dello stesso.

Dicotomia che viene sottolineata anche dalla scenografia di Gianluca Amodio, che vede al centro del palco una doppia rampa di scale che salgono circolari fino ad una pedana centrale sormonata da un grande specchio “segreto”, che riflette l’immagine, ma anche mostra ciò che accade contemporaneamente altrove.

In alto si svolge la vita di corte, fastosa, ricca e distaccata da tutto il resto, in basso scorre drammatica la vita del popolo.

Intelligente, geniale e suggestivo l’inserimento del teatro dei burattini di Robespierre, attraverso il quale lo stesso entra in contatto con il popolo e, attraverso la presentazione di scenette divertenti e grottesche, animate da personaggi altrettanto grotteschi, apre la mente al popolo svelando gli intrighi di corte e puntando il dito contro un potere che ne ignora completamente i bisogni. Un classico esempio della satira sociale del tempo.

Lady Oscar- François Versailles Rock Drama ha una bella drammaturgia ed è accompagnato da una colonna sonora originale di stampo rock completamente suonata dal vivo. I brani più avvincenti e aggressivi sono espressione del pensiero e delle azioni del popolo e vengono rappresentati con una musicalità forte e moderna che ne esalta l’energia.

Per questa versione dello spettacolo, Andrea Palotto opera una scelta coraggiosa e rischiosa, facendo esibire al fianco di un cast di professionisti, i bravi allievi della AIDM, Accademia Internazionale del Musical.

Troviamo così in scena grandi talenti come Giorgio Adamo, nei panni di un André energico, divertente ed emozionante, frustrato nell’amore verso François che solo alla fine e troppo tardi riuscirà a confessare; Cristian Ruiz in quelli del terribile e autoritario generale Augustin de Jarjayes a cui riesce a dare un piglio crudele e freddo con un’interpretazione vocale eccezionale; la grandissima e sempre carismatica Cristina Noci (nonna Marie); un bravissimo Igor Petrotto nei panni di Bastien, una delle guardie del Re, in un’interpretazione bella, forte e ricca di energia; Massimiliano Micheli che è un Robespierre che sa attirare su di sé l’attenzione, in parte misterioso e affascinante, ma anche derisorio; Igino Massei, il Duca d’Orleans, così carico e pittoresco senza risultare mai eccessivo o sgradevole.

Insieme a loro, oltre a Carlo Valente, Giuseppe Ranieri e Rocco Stifani, i ragazzi dell’Accademia che tanto si danno da fare su quel palco con risultati alterni.

Tra loro spiccano elementi molto dotati come Francesco Miniaci, nei panni del Conte Fersen, la cui voce è qualcosa di spettacolare e affascinante, ma che deve ancora lavorare sulla recitazione, la spontaneità e la gestione del corpo; Giordana Vitaliti (Sophie), dotata di buona presenza scenica, ottime capacità e bellissima voce; Elisa Franchi (la contessa Du Barry) divertente, fresca e spontanea; Beppe Carvuto, molto bravo e divertente nei panni esasperati di un Re Luigi XVI rappresentato come un bambino stupido e capriccioso, ma che si è un po’ lasciato tradire dall’emozione nella prova canora; anche Alessandro Angelini si è ben distinto nel piccolo ruolo del medico di corte e in quello di guardia del re.

Chiara Famiglietti ha avuto l’onore e l’onere di interpretare la protagonista, Oscar François de Jarjayes: una prova sicuramente difficile sia attorialmente che a livello vocale, per il carico di esperienza che il ruolo richiede e che questa ragazza, sebbene brava e promettente, ancora non ha. Sebbene carica e molto concentrata, alla lunga ha forse sofferto un po’, mancando della dovuta incisività e mostrando, di tanto in tanto, qualche debolezza.

In generale buona la prova dell’ensemble.

Purtroppo, la differenza tra professionisti e non si avverte, sebbene l’impegno di tutti sia ben palpabile.

Sicuramente sono da considerare diverse attenuanti: l’emozione di calcare un vero palco con un vero spettacolo d’autore per la prima volta; l’eccitazione e le incertezze di una prima; le difficoltà e le insicurezze personali.

Lo spettacolo raggiunge comunque un buon livello di esecuzione, coinvolgendo il pubblico nella storia di Francia, ma bisogna riconoscere che la sfida di Palotto non sia completamente vinta.

Bello il disegno luci di Daniele Ceprani che riempie la scena e spesso anche la platea, nonostante necessiti di qualche aggiustamento che può avvenire in corso d’opera.

Non entusiasmanti i costumi di Bianca Borriello che esaltano le figure maschili dei nobili, ma sono modesti nell’uniforme di Lady Oscar e nel suo abito da gran ballo che ci si aspetterebbe più sontuoso e dovrebbe metterne in risalto la femminilità.

Diverse le soluzioni drammaturgiche e registiche interessanti, soprattutto quando si gioca e si calca la mano sulla caratterizzazione di certi personaggi. Accattivante anche il taglio dato al personaggio di Robespierre a metà tra paladino del popolo e demagogo. E’ lui a chiudere, in maniera ambigua, l’ultima scena, come un burattinaio che ha condotto tutti, nobili e popolo, fino a quella fine. Una fine che resta un po’ appesa e che ha un sapore di incompiuto, perché volutamente nascosta nel buio.

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Lady Oscar- François Versailles Rock Drama

musical in 2 atti basato su “Le Rose di Versailles” di Riyoko Ikeda

scritto e diretto da Andrea Palotto

regia associata Emanuela Maiorani

con la partecipazione straordinaria di Cristian Ruiz, Giorgio Adamo, Massimiliano Micheli, Cristina Noci, Igino Massei, Igor Petrotto, Carlo Valente, Giuseppe Ranieri, Rocco Stifani

e con, in ordine alfabetico: Elisa Abozzi, Alessandro Angelini, Miriam Balducci, Chiara Buonvicino, Eleonora Capuozzo, Beppe Carvutto, Elisa De Titta, Chiara Famiglietti, Elisa Franchi, Roberto Giannuzzi, Anna Guerra, Valentina Lazzari, Viviana Lepore, Carmelita Luciani, Francesco Miniaci, Alma Passanisi, Benedetta Piloto, Evelina Tudisco, Giordana Vitaliti.

direzione e programmazione tastiere Federico Zylka

chitarra Stefano Candidda

basso Andrea Scordia

batteria Tiziano Cofanelli

direzione musicale Marco Spatuzzi

coreografie Claudia Scimonelli

light design e direzione tecnica Daniele Ceprani

scene Gianluca Amodio

costumi Bianca Borriello

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Recensioni, Teatro, Teatro

Coppia aperta quasi spalancata Teatro Libero di Milano, 27 dicembre  2017

 

Recensione di Carlo Tomeo

 foto carlo

Ogni tanto torna in voga la bella commedia scritta nel 1983 da Franca Rame e Dario Fo, e metto per primo il nome della Rame perché, su confessione dello stesso Dario Fo, fu lei quella che partecipò maggiormente alla stesura. Lo si comprende, assistendo alle varie rappresentazioni che si sono succedute negli ultimi tempi, considerando che in un anno, diverse compagnie mettono in  scena questa famosa commedia. Il perché è facile intuirlo: intanto il tema è sempre attuale e non necessità di aggiornamenti (a meno che non si voglia rappresentare in una forma sperimentale, peraltro inimmaginabile). Altra caratteristica, che la rende di facile messa in scena è la mancanza di scenari particolari e di un numero cospicuo di attori: è, infatti, recitato da due soli personaggi, tranne un terzo che appare alla fine ed è poco più che una comparsa. Inoltre, elemento questo non del tutto trascurabile, la pièce è in chiave comica e attira ancora più facilmente il pubblico.

Il tema, anche se la commedia è stata scritta nell’83, in realtà è riconducibile al ‘68, e al movimento dei “figli dei fiori”, quando si propagandava l’amore libero quasi come una forma di protesta contro la vita borghese e bacchettona. In realtà l’uomo in particolare, ha approfittato di quelle nuove ideologie per “portare allo scoperto” le sue eventuali infedeltà nei confronti della propria compagna. La storia è costruita anche tenendo conto del rapporto spesso turbolento sul piano sentimentale che Dario Fo e Franca Rame vissero in quegli anni.

Nella commedia della produzione Mò-Mì, i protagonisti sono una coppia trentenne dei nostri anni, interpretati da Lidia Miceli e Alessandro Moser, che vive la solita storia conflittuale dove l’uomo è infedele alla sua compagna che non riesce ad accettare i vari tradimenti del marito. In realtà, più che rappresentata, la storia viene raccontata dalla donna, Antonia, con il supporto del marito che cerca di giustificare il suo modo di vivere il rapporto che ha con la moglie, con frasi che, secondo il suo punto di vista, dovrebbero gratificarla: e cioè che le donne che incontra occasionalmente non sono altro che semplici avventure sessuali, mentre quello che conta realmente è il vero amore che prova per la moglie che, dopo i primi anni entusiasmanti dal punto di vista sessuale, ora si è tradotto in una stima senza limiti nei confronti della”dolce metà”. La donna soffre di questo stato, passa da un tentato suicidio all’altro, tramite vari medicinali assunti in forma copiosa, dove la cosa peggiore che possa provare sono le diverse lavande gastriche che deve subire ai pronto soccorsi e le successive sedute psicoanalitiche a cui poi si sottopone.

L’uomo arriva una volta a portare a casa anche una sua amante, di giovane età, e che, secondo il suo modo di pensare, la moglie dovrebbe accettare senza farsi problemi.

Ad Antonia non rimane che la separazione oppure, amando ancora il marito, accettare la proposta che lui le fa, e cioè di aprire il loro rapporto ad avventure esterne con altri amanti, nel senso di “concedere” alla donna quello che lui stesso si concede da tempo pur sapendo che la moglie mal l’accettava. Una coppia aperta, insomma, che , se appariva rivoluzionaria alla fine degli anni sessanta, è oggi accettata tacitamente dalle coppie moderne. Alla donna, pur di non separarsi del tutto dal marito e, dopo aver seguito tutta una serie di sedute in palestra e di diete alimentari dimagranti per poter apparire più appetibile agli occhi maschili, accetta a malincuore, prima, ma poi con una rinnovata (almeno sembra) rinascita ai piaceri della  vita. È risaputo che, nella stragrande maggioranza dei casi, la donna ama in modo diverso dell’uomo: mentre quest’ultimo, in effetti, “bada più al fattore sessuale”, la donna mette in primo piano la forma sentimentale, con tutto quello che ne possa conseguire: se l’uomo fa in fretta a rimuovere l’atto infedele, la donna lo deve metabolizzare giustificandolo con il sentimento. E questa può essere una forma di impedimento alla vera natura in cui nasce il concetto di coppia aperta, nel senso che la coppia “legale” rimane comunque sempre tale nel tempo, nonostante le “scappatelle” dei suoi componenti, ma rischia di disfarsi se la donna non ha la stessa indole dello “scappa e fuggi sessuale” del marito.

Come finirà questa storia è risaputo, tanto nota ne è la trama che non mi ha impedito neanche di raccontarla a grandi linee e per un breve riassunto, salvo il fatto che il finale scelto dai due attori-registi è da interpretare, a seconda del modo di vedere da parte dello spettatore. I due, infatti, tendono a sottolineare che “amare è volere il bene dell’altro” e questo concetto è applicabile in diversi modi nella piéce.

A parte l’ottima prestazione di Alessandro Moser non si può evitare di ammettere che la vera protagonista, più che la coppia in sé, è la donna interpretata da Lidia Miceli, bravissima sia nelle parti in cui espone drammaticamente la sua situazione di donna tradita, sia in quella più divertente, quando, accettata la proposta del marito, si dà da fare per “rimettersi a nuovo”.

C’è un  suo monologo centrale della commedia in cui racconta delle estenuanti sedute in palestra e delle tristi diete alimentari povere di calorie cui si sottopone per assumere l’aspetto di una donna desiderabile agli sguardi dei maschi. Per fare questo si trasferisce nella città natale e nella fase “ricostruttiva” del corpo è seguita dal fratello moderno, oltreché sospettato camorrista, che le insegna anche gli atteggiamenti da usare per interessare agli uomini. Tutto il racconto di questa specie di odissea è divertentissimo, tale da travolgere il pubblico dalle risate.

La bravura di Lidia Miceli si estende anche nel suo modo di interloquire che ne caratterizzano lo stato d’animo del momento: quando si arrabbia assume un accento meridionale, mentre, quando vuole apparire felice mentre parla al telefono con il suo presunto o vero amante, si atteggia a una milanese di rango, in questo presa bellamente in giro da Alessandro Moser, che resta basito, ma anche allarmato, ad ascoltare quello che sente.

Del resto tutto lo spettacolo, malgrado il fondo di una forma malinconica che può sottendere l’argomento, esistente anche se non sembra essere percepito, ma che è denuncia del vuoto esistenziale nella gran parte dei rapporti sentimentali di ieri e di oggi, ha una scrittura pirotecnica dove ogni battuta suscita il riso, al di là dell’amarezza che in certi casi possa essere portatore.

Il pubblico ha molto gradito e lo ha fatto apertamente con le numerose risate durante la rappresentazione e i lunghi applausi alla fine agli interpreti nella prima milanese cui ho assistito e che non hanno fatto rimpiangere gli attori di altre prestazioni recenti della commedia.

 

Coppia aperta quasi spalancata

di Dario Fo e Franca Rame

diretto e interpretato da Lidia Miceli e Alessandro Moser

aiuto regia  Alessandro Natale

disegno luci  Rocco Giordano

scene: Paolo Pioppini

Produzione Mò-Mì

 

Si ringrazia Simona Griggio dell’ufficio stampa

In scena al Teatro Libero di Milano fino al 31 dicembre.

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Recensioni, Teatro, Teatro

I 39 scalini, una spy story esilarante

39scalini

Teatro de’ Servi

23 dicembre 2017

Al Teatro de’ Servi si gioca e si ride tantissimo con il noir hitchcockiano I 39 scalini, spettacolo firmato da Patrick Barlow, tratto dal romanzo di John Buchand, che a Londra è rimasto in scena per dieci anni riscuotendo enorme successo.

La versione in scena al De’ Servi è curata da Leonardo Buttaroni (Premio Cerami 2016 per la categoria “Miglior Spettacolo”) e accosta al tradizionale humour inglese, esilaranti nuove trovate più vicine al gusto italiano senza snaturare l’originale.

I 39 scalini nella versione di Barlow e, quindi, anche in questa, è una black comedy divertentissima che unisce noir e spy story ad una demenzialità intelligente e scoppiettante e ad una comicità a tratti grottesca.

Quattro attori, Alessandro Di Somma, Yaser Mohamed, Diego Migeni e Marco Zordan interpretano una lunga serie di personaggi a dir poco stravaganti, esasperandone comicamente atteggiamenti e caratterizzazioni sia fisiche che vocali, portando lo spettatore in un mondo fantastico e genialmente caotico.

Il protagonista Richard Hannay è un uomo d’affari la cui vita sarà sconvolta da un incontro occasionale dagli incredibili risvolti. Per sventare un complotto internazionale verrà coinvolto in un intricato viaggio attraverso la Gran Bretagna alla ricerca dell’organizzazione I 39 scalini durante il quale si imbatterà in spie, poliziotti e personaggi di ogni tipo a dir poco sopra le righe.

Lo spettacolo è una corsa vertiginosa, dal ritmo sempre serrato, tra fughe, travestimenti, incontri incredibili, mantenendo però sempre la tensione di un giallo, sebbene un po’ anomalo.

Gli attori in scena dimostrano grandissimo affiatamento e tanta resistenza, continuamente in movimento, se non di corsa, non solo per interpretare i numerosi personaggi coinvolti, ma anche nel dare vita, in maniera geniale, ai diversi oggetti di scena, che ogni volta vengono usati in maniera diversa.

I 39 scalini è una black comedy, ma anche un gioco: si esprime esattamente come i giochi dei bambini in cui la fantasia trasforma un oggetto in qualcosa di altro e assolutamente lontano dalla sua funzione primaria.

Vediamo così velocemente semplici oggetti di scena prendere vita e diventare ogni volta altro: bauli, relle appendiabiti, scale, poltrone, singolari copricapo, manipolati dalla fantasia e dalla bravura di questi attori, diventano ogni volta un ponte, un aeroplano, un’automobile, e l’interno, meravigliosamente rappresentato, di un treno, vagoni, compartimenti e porte comprese; una singola porta di legno consente di accedere ad un’infinità di ambienti diversi che riusciamo a vedere solo con la fantasia e l’ausilio dei suoni.

I 39 scalini si basa su di una comicità intelligente e sottile e si regge sul ritmo che gli attori riescono a mantenere in scena tutto il tempo, interpretando da grandi i giochi dei bambini che dal nulla sanno creare storie e con pochi oggetti immagini che fanno volare la fantasia.

A questo vanno aggiunte le diverse cadenze che adottano per caratterizzare ogni personaggio lungo il viaggio che per la Gran Bretagna porterà a scoprire chi è l’organizzazione chiamata I 39 scalini.

Uno spettacolo diverso, davvero divertente, ricco di citazioni e rimandi alla cinematografia e a certa comicità un po’ perduta.

GLICINE PRODUZIONI

presenta

uno spettacolo di Cattive Compagnie

I 39 SCALINI

dal film di Alfred Hitchcock

di John Buchan adattamento di Patrick Barlow

regia di Leonardo Buttaroni

aiuto regia Gioele Rotini

con Alessandro Di Somma, Diego Migeni, Yaser Mohamed, Marco Zordan.

scene Paolo Carbone

disegno luci Pietro Frascaro

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