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Recensioni, Teatro, Teatro

RomeoeGiulio. AbaricoTeatro, 29 gennaio 2016. Prima.

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Bologninicosta porta in scena RomeoeGiulio, uno spettacolo emozionante che è un manifesto di impegno civile e sociale.

Il titolo fa subito pensare alla tragedia di Shakespeare, ma si tratta di un pretesto narrativo e concettuale, un riferimento e un’attualizzazione dei temi sottesi all’opera de Il Bardo: l’amore contrastato, lo scontro con una realtà ostile, la mancanza di comunicazione all’interno della famiglia, il percorso di conoscenza di se stessi e il riconoscimento della propria identità sessuale, il giudizio degli altri e la mancanza di accettazione da parte degli altri.

In un allestimento originale vengono affrontati con lucida asprezza i temi dell’amore, dell’integrazione, il razzismo e l’omofobia.

RomeoeGiulio non è soltanto uno studio sull’omofobia, ma prima di tutto un testo sulla questione di genere in quanto tale. Uno spettacolo quanto mai attuale in un periodo storico come quello presente dove ancora è necessario lottare per vedere riconosciuti i propri naturali diritti civili; non mancano, quindi, riferimenti all’attualità politica e sociale.

RomeoeGiulio sono solo due giovani uomini che si amano; non vogliono niente, non chiedono niente se non essere riconosciuti nel proprio amore, essere considerati quello che sono, esseri umani che si amano. Romeo e Giulio vogliono solo essere se stessi e amarsi liberamente.

Invece intorno ci sono solo ostacoli: la famiglia che non vuole vedere, una madre possessiva concentrata su se stessa, politici che si spendono in discorsi retorici contro l’amore omosessuale, preti inquisitori. Alla fine, sopraffatti dagli sguardi indagatori, dalle condanne sociali, abbandonati dalle famiglie, sono costretti a piegarsi, a soccombere, a morire nella solitudine di un freddo abbraccio.

Lo spettacolo è diviso in scene, in quadri che offrono punti di vista diversi, dando voce a carnefici di vario tipo. In tutto dodici quadri (come le stazioni della Via Crucis): Ninna Nanna, ovvero La Pietà; Dark Room ovvero Il ballo; The kiss ovvero Il balcone; Outing ovvero La confessione; Gender ovvero Lezioni di sessualità; Madonna Montecchi ovvero Madre di Romeo; Amore contrastato ovvero La colonizzazione ideologica; Fiati ovvero La prima notte; Gulag e tacchi a spillo ovvero L’aggressione di Genova; Monseur Capuleti ovvero Padre di Giulio; Temporali ovvero La morte; Ritorno primordiale ovvero Il matrimonio.

RomeoeGiulio è uno spettacolo molto fisico, che richiede un grande sforzo muscolare; i corpi si inseguono, respingono, si intrecciano con velocità e ritmo, rimanendo sempre in tensione. Sono più i gesti che vengono trattenuti che quelli che esplodono in un’azione finale e questo crea attesa e, appunto, tensione nello spettatore.

Ciò che deve essere buttato in faccia è buttato in faccia, ma non c’è esagerazione; nulla è fine a se stesso o ha il solo scopo di stupire; ogni azione, ogni parola ha un significato preciso. Non c’è esasperazione come scelta stilistica; ciò che appare esasperato lo è perché è la realtà che viviamo ad essere esasperante.

La drammaturgia è bellissima, inserendo un insieme di elementi combinati perfettamente: si nota subito che dietro ci sono studio e preparazione. Sofia Bolognini, autrice e regista, dimostra di avere una grande preparazione, di aver visto e letto molto, ma anche di aver interiorizzato ed elaborato. Sofia riesce a far proprio il  bagaglio culturale ed esperienziale e a tramutarlo filtrandolo attraverso la propria personalità e sensibilità.

Al suo fianco il compagno Dario Costa, autore delle musiche e dei suoni che ha composto una drammaturgia sonora che si affianca perfettamente al testo dando spunto e spinta alle azioni, alle parole e alle emozioni e scandendo i passaggi trai vari quadri. Una colonna sonora cucita sugli attori.

“RomeoeGiulio è uno studio sul corpo violentato e violento degli attori in scena. È uno studio sulla fatica, sulla verità che racconta un corpo portato all’estremo”.

Si può ritrovare in questo modo di fare teatro qualcosa di già visto, terreni già esplorati: mi viene in mente la drammaturgia di Ricci/Forte. Però, l’opera di bologninicosta non è assolutamente un proporre qualcosa di già fatto: c’è studio, lavoro, elaborazione, costruzione e decostruzione.

D’altronde in ogni disciplina c’è qualcuno che ha lasciato una traccia importante e indelebile: la bravura e la differenza sta nel, se mai fosse, prendere spunto, ma poi introiettare, personalizzare ed elaborare.

RomeoeGiulio è in maniera evidente un lavoro di gruppo: è palpabile l’energia sul palco degli attori, la loro unione e sinergia. Il metodo seguito da bologninicosta, infatti, prevede una collaborazione continua tra autore, regista, attore e compositore musicale: l’attore non deve solo eseguire, ma essere parte del processo creativo. Un collettivo teatrale in un processo di sperimentazione continua e creatività autogestita.

Fondamentale è il ruolo del Coro, protagonista coi protagonisti: donne vestite da uomini e uomini vestiti da donne che rappresentano la società, con le sue paure, i suoi fantasmi, i bisogni e desideri.

Non si può prescindere dal coro in questo spettacolo: è un corpo unico che disegna lo spazio, definisce le azioni, primariamente con il grande uso di una forte fisicità, in secondo luogo con la voce e il canto per dare enfasi alle emozioni.

Riccardo Averaimo, Aurora di Gioia, Gabriele Olivi e Nicole Petruzza compongono il Coro donandosi completamente all’opera senza risparmiarsi: corpo, muscoli, spasmi, voce e cuore, mettono tutto in questa rappresentazione e si vede e arriva.

Mauro de Maio è un formidabile Romeo: così preso e presente, ogni movimento ed espressione arrivano diretti e pungenti. Dimostra di aver fatto un grande lavoro sulla espressività del corpo e del viso.

Andrea Zatti è un dolcissimo e sperduto Giulio, innamorato di Romeo; apparentemente un po’ più acerbo come attore, Andrea sostiene con trasporto il suo difficile ruolo.

Gianluca Paolisso è Madonna Montecchi, Madre di Romeo; una grande interpretazione per una figura che viene portata all’estremo non diventando mai ridicola. Eccentricamente truccata e addobbata, questa figura rispecchia l’amore che soffoca, l’amore che comanda, l’amore ripiegato su se stesso e, anche, lo sguardo degli altri, il giudizio esterno, l’opinione pubblica. Un plauso a Gianluca che raggiunge il suo apice nel momento drammatico.

Sofia Bolognini, autrice e regista, fa anche la sua apparizione in scena nelle vesti di Padre Capuleti, padre di Giulio, in un monologo duro e crudele, in una delle scene forse più forti.

RomeoeGiulio è uno spettacolo, ma anche un manifesto di impegno civile, sociale e politico. E’ testimonianza di un progetto, frutto di di un enorme lavoro di grande impegno e forti aspirazioni. Uno spettacolo che merita di girare ed essere visto.

RomeoeGiulio

Testo: Sofia Bolognini

Romeo: Mauro de Maio

Giulio: Andrea Zatti

Madonna Montecchi (Madre di Romeo): Gianluca Paolisso

Monseur Capuleti (Padre di Giulio): Sofia Bolognini

Coro: Riccardo Averaimo, Aurora di Gioia, Gabriele Olivi, Nicole Petruzza

Drammaturgia: Sofia Bolognini

Composer and live sound manager: Dario Costa

Regia: Sofia Bolognini

Assistente alla regia: Dario Costa

bologninicosta è una produzione che si occupa di arti perfomative. È un progetto di ricerca sociale e artistica.

Sociale perché si interessa di questioni civili utilizzando gli strumenti offerti dalla sociologia: indagine sul campo, raccolta dati, interviste. È uno studio attivo sul territorio, che attraverso l’esperienza diretta con le realtà suburbane amplifica e trasmette la voce delle minoranze.

Artistica perché, attraverso l’attivismo creativo, va alla ricerca di nuovi linguaggi. Spettacoli teatrali, live performances, istallazioni audiovisive: bologninicosta è un tentativo di contaminazione e sfondamento tra pratiche diverse di comunicazione col pubblico, passando dalla teatro-danza alla sperimentazione sonora con l’utilizzo di sintetizzatori e drum-machines.

bologninicosta è un processo, un’officina creativa in cui vocazione civile e onestà artistica vanno di pari passo, nel tentativo sempre aperto di ridisegnare un’ipotesi di spettacolarità più autentica e meno grossolana, una forma di fruizione più consapevole e precisa, veramente umana.

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Recensioni, Teatro

Il Ballo. Sonia Bergamasco.Teatro Vascello, 28 gennaio 2016.

BERGAMASCO

 

sonia bergamasco

 

Sonia Bergamasco, attrice, musicista e regista colta e raffinata, vincitrice del Nastro d’argento nel 2004, del Premio Flaiano nel 2005, Premio della Critica nel 2012 e del Premio Eleonora Duse nel 2014, entra, con partecipazione e trasporto, nel mondo di Irene Némirovsky .

Il Ballo, scritto nel 1928 e pubblicato nel 1930, è un romanzo breve autobiografico in cui la Nèmirovsky, fuggita con la famiglia dalla Russia bolscevica a Parigi e rimasta affascinata dalla vita mondana della città,  sfoga il proprio rancore verso la chiusura della famiglia: una madre egoista e insensibile e un padre assente.

Nel romanzo Antoinette è una giovane quattordicenne figlia di una coppia di ebrei arricchiti: la madre, vanesia e crudele, che  brama spasmodicamente per entrare nell’alta società e il padre disinteressato alla vita di famiglia. L’educazione di Antoinette viene affidata ad una governante leggera e civettuola. Per raggiungere il suo scopo di essere accettata dalla gente che conta, Rosine, la madre di Antoinette, organizzerà in casa un sontuoso ballo al quale inviterà i maggiori esponenti della società del tempo senza badare a spese.

Antoinette vorrebbe indossare un bell’abito e partecipare al ballo, ma la madre glielo vieta imperiosamente. A quel punto comincia la sua vendetta: gli inviti non verranno spediti, finendo, invece, nella Senna; al ballo non i presenterà nessuno se non l’antipatica cugina alla quale l’invito era stato consegnato di persona e che era stata invitata solo perché potesse poi raccontare a tutto il resto della famiglia delle grandi ricchezze dei coniugi; i genitori penseranno di essere stati ignorati da tutti e finiranno nel dimenticatoio.

Sonia Bergamasco interpreta il testo dando vita ad un intenso monologo a cinque voci: Rosine, la madre; Kampf. Il padre; Anotinette, la figlia; Miss Betty, la governante;  la cugina.

La scena è costituita da una dormieuse e, tutt’intorno, specchi di diversa grandezza coperti da cellophane bianchi : passo passo i personaggi prendono vita e si definiscono svelandosi nel proprio riflesso; i veli calano e le verità escono allo scoperto. Gli specchi riflettono solitudini, immagini a volte distorte, realtà diverse, ma tutte vere: ogni personaggio ha la propria realtà e verità, grazie anche alla consistenza che gli viene data in scena dall’interpretazione forte e presente di Sonia  Bergamasco.

Le passioni sembrano uscire da un punto e vagare a volte rimbalzando sulle superfici specchiate, altre volte venendo catturate dalle stesse per non essere restituite, come risucchiate.

Antoinette si rifletterà spesso in uno specchio ai suoi piedi, come un Narciso che anela che lo si contempli, ma resta deluso nel suo desiderio.

Sonia Bergamasco entra nel racconto possedendolo e facendosi possedere: è ogni volta l’uno o l’altra. Ogni personaggio ha voce, gesti e caratteristiche ben distinte e definite; ogni carattere è autonomo e ha una vita propria.

La Bergamasco riesce a passare da un personaggio all’altro con delicatezza evitando fastidiose cesure.

Sonia tira fuori dal buio i personaggi, li mette in luce, li fa interagire per poi rimandarli in un buio più tetro di quello dal quale provenivano.

Bellezza, vanità, anaffettività, vendetta. La storia di una piccola crudeltà perpetrata tra le mura domestiche. Una figlia non amata e messa da parte; una madre rigida e vanitosa che dovrà scontrarsi con la sua più grossa paura: rimanere sola e priva di considerazione.

Il racconto di scena de Il Ballo è ideato dalla stessa Sonia Bergamasco e interpretato con passione e dedizione. Nonostante le capacità attoriali della Bergamasco, la storia non ha avuto molta presa su di me. La drammaturgia del testo non è così forte come mi sarei aspettato; la crudeltà che viene tanto espressa è, alla fine, un brutto scherzo che fa un’adolescente capricciosa più che una dura vendetta. L’allestimento scenico, sebbene evocativo, non è nulla di nuovo: specchi e veli sono oggetti già tanto utilizzati e simboli inflazionati che non hanno abbastanza potenza immaginifica, anche se i cellophane vengono maneggiati e utilizzati in maniera funzionale in varie loro possibilità.

Per questi motivi, Il Ballo resta un dramma consumato a metà.

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Recensioni, Teatro, Teatro

Otello. Teatro Sala Uno. 27 gennaio 2016.

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otello

 

L’eterno dramma della gelosia che logora anche l’uomo più forte e saldo; la questione razziale;  le strategie per il potere: Otello è un enorme meccanismo, un ingranaggio che stritola l’uomo schiacciandolo sotto le sue stesse paure, un magma di sentimenti che tracimano dai cuori degli uomini devastando tutto ciò che incontrano.

Questo adattamento moderno dell’Otello ad opera di Paolo Zuccari e Hossein Taheri è davvero coinvolgente; una rivisitazione quasi cinematografica che segue le regole di un thriller mozzafiato.

La storia è sempre quella: Otello è il generale straniero nominato Governatore di Cipro sposato con la bellissima e indipendente Desdemona. L’attendente Iago non vuole essere comandato da uno straniero e si ingegnerà per  distruggere Otello.

Iago costruirà così un complicato e ingegnoso piano facendo in modo, prima, che Otello perda fiducia nel suo luogotenente Cassio, destituendolo, insinuando, poi, in Otello il dubbio della gelosia che diventerà un veleno nella sua mente, un tarlo che lo roderà fino a sconvolgerlo completamente e a portarlo ad azioni tragiche.

Sei personaggi in scena per un romanzo poliziesco, un film noir, una tragedia greca: malizia, sotterfugio,  inganno, tradimento, dubbio, gelosia, rabbia, pazzia,violenza, in un turbinio travolgente di azioni e pensieri con un crescendo sempre più rapido di colpi di scena.

Sono in scena le emozioni umane portate all’estremo da una distorsione crudele della realtà; emozioni che creano pensieri cupi, pensieri che provocano rabbia, rabbia che oscura la mente e muove ad azioni terribili.

La guerra è finita là fuori, ma è ancora guerra: è dentro gli animi, i cuori e le teste che portano a pensieri irrefrenabili da cui scaturiscono comportamenti irrimediabili.

Tutto si svolge con rapidità; la scena è un costante correre, andare e venire: c’è una frenesia nell’azione e nelle parole da lasciare col fiato sospeso.

Il finale arriva sorprendente, forte e improvviso, impetuoso e crudele: è una danza di morte.

Il sestetto in scena è davvero un gruppo di attori bravi e affiatati.

Un grandioso, strepitoso Paolo Zuccari è Iago: corre, scatta, dice, fa, intreccia, imbroglia, camuffa con un’abilità da giocoliere.

Hossein Taheri, anche lui immenso, è Otello.  Hossein presta tutta la sua fisicità al personaggio, i suoi occhi ardono di rabbia e odio.

Elodie Treccani è Emilia, la moglie di Iago; dapprima ubbidiente e ignara, la sua trasformazione in donna disperata è dirompente.

Xhilda Lapardhaja è la bellissima Desdemona, così fiera e forte nel difendere fino in fondo la purezza del suo amore. Brava, la sua interpretazione è toccante nell’epilogo.

Caterina Bertone è il sergente Bianca: Caterina si difende in un ruolo che qui, comunque, è marginale e statico rispetto agli altri.

Beniamino Zannoni  è il luogotenente Cassio; una bella interpretazione spontanea.

La regia di Paolo Zuccari contribuisce a creare una dimensione di caos in cui la realtà viene rapidamente  distorta dalle menti dei protagonisti.

Le emozioni arrivano chiare, forti e dirette;  nonostante la frenesia delle scene non si perdono parole, ogni passaggio è ben strutturato, tutto è comprensibile. Anche il dolore e la rabbia.

 

OTELLO

di

William Shakespeare

Adattamento

Hossein Taheri e Paolo Zuccari

con

Hossein Taheri

Paolo Zuccari

Elodie Treccani

Xhilda Lapardhaja

Caterina Bertone

Beniamino Zannoni

Regia  Paolo Zuccari

Aiuto regia Marco Canuto

Consulenza scene Fiammetta Mandich

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